Una sera d'estate, mentre Konrad e la madre di Henrik stavano suonando un pezzo per pianoforte a quattro mani, accadde qualcosa. In attesa della cena, l'ufficiale della guardia e suo figlio, seduti in un angolo del salone, ascoltavano educatamente la musica, con la condiscendenza computa e la remissività di chi dice: "La vita è tutta un dovere, bisogna sopportare anche la musica. Non ci si può mostrare annoiati davanti a una signora". La contessa suonava con trasporto: eseguivano le Fantasie polonaise, di Chopin. Nella stanza tutto sembrava vibrare. Mentre aspettavano, educati e pazienti, nelle loro poltrone in un angolo del salone, padre e figlio si resero conto che in quei due corpi, della madre e di Konrad, stava avvenendo qualcosa di strano.
Dalla musica sembrava sprigionarsi una forza eversiva capace di sollevare i mobili e di gonfiare i pesanti tendaggi di seta alle finestre. Era come se tutte le cose vecchie e ammuffite, sepolte da tempo nei cuori umani, ricominciasero a vivere, come se nel cuore di ogni essere si annidasse un ritmo mortale che, ad un certo punto della vita, potrebbe mettersi a pulsare con implacabile violenza.
Gli ascoltatori pazienti compresero che la musica rappresentava un pericolo.
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