Quando, dopo aver confuso il fungo di San Serapione con una specie mangereccia, Antonio cadde da cavallo, il suo spirito si staccò dal corpo e cominciò a volare.
Dapprincipio i suoi movimenti erano incerti. Ma presto acquistò sicurezza, salendo con le correnti ascensionali, fino a raggiungere le cime dei monti. E pensò stupefatto di non averli mai visti così, dall’alto.
Fin dove arrivava il suo sguardo, regnavano oscurità e quiete. Le api dormivano nei loro alveari e lo stesso facevano i pesci nelle plumbee profondità dei laghi. Solo il pipistrello e l’upupa scortavano il viaggio dello spirito quando, incuriosito da una falesia, un pozzo o un capitello diroccato planava verso il basso aprendo sue braccia eteree di spirito.
Di là da uno sperone roccioso la luna fece all’improvviso la sua comparsa. E Antonio, alla vista di casa, che quella pallida luminosità faceva risaltare nel centro del pascolo, fu preso da un’emozione che in vita sua non ricordava di avere provato mai. La luce alla finestra della cucina era ancora accesa, come lui l’aveva lasciata quando, dopo cena (il fungo stava iniziando a fare effetto), si era deciso per una passeggiata al piccolo trotto fino alla casa del curato, che aveva letto più cose nei suoi libri di quante Antonio non fosse mai riuscito a decifrare nel groviglio delle radici di un albero secolare o nella perfezione geometrica di un favo.
Una volta che Antonio si era trattenuto a cena quell’uomo di chiesa tormentato, al quale era toccata in sorte una parrocchia di montagna lontana dalla vivacità dei grandi centri abitati, gli aveva raccontato della secessione delle donne, che dagli storici viene giudicata una leggenda priva di fondamento.
“Dunque – aveva detto il prete – successe che le donne di questa regione, che si sentivano oltraggiate dagli uomini, lasciarono le loro case per ritirarsi da sole sui monti. Qui impararono a nutrirsi di erbe e frutti spontanei, e a coltivare l’arte della caccia. Naturalmente non per tutte fu così facile, perché gli uomini si credevano spogliati dei loro diritti su mogli e figlie, e molte furono catturate mentre cercavano di allontanarsi dalle loro abitazioni. Tuttavia quelle che riuscirono a scappare impararono a parlare la lingua degli alberi, che è la più facile a intendersi, come ben sai anche tu, Antonio, anche se non ammetteresti mai di conoscerla. E poi via via quella dei graniti, dei quarzi, quella vezzosa delle dolomie. Per ultima avevano imparato la lingua degli agenti atmosferici, che è una e priva di dialetti.
Allora cominciarono a costruire gli altari dei loro protettori, e abbandonarono la dieta carnivora, così che tutti gli animali le avvicinavano senza timore. È possibile che oggi quelle comunità si siano estinte naturalmente: sto parlando di quelle che non furono distrutte dagli uomini durante la guerra. Ma non mi sorprenderei se i cittadini avessero nascosto le prove della loro eventuale sopravvivenza, magari in forme imbastardite. E Dio solo sa che i cittadini hanno la testa piena di buone invenzioni per rendere confortevoli e illuminate le loro strade e le loro case, ma l’anima trabocca di paure e fantasmi e ricordi spaventosi che hanno ereditato dai loro padri; e poi in definitiva se ne accorgono che il sesso delle loro donne odora di muschio e stanno svegli la notte e di giorno si affrettano a disboscare le periferie e a coprirle di cemento.”
Questa era la storia della secessione delle donne, che il curato aveva raccontato ad Antonio una sera dopo che entrambi avevano consumato la cena. Ma Antonio non ne era rimasto particolarmente impressionato: sapeva che nei tempi andati i culti degli alberi erano diffusi, che di nascosto dai parroci talvolta erano proprio i mariti a spingere le loro mogli a ricordarsene, perché pur conoscendo poco o nulla di quelle faccende intuivano il potere che erano in grado di sprigionare.
Lo spirito restò un poco sospeso sopra la casa; quindi compì due larghi giri e si portò più in alto nel cielo.
Adesso poteva scorgere, sul fondovalle, le infiorescenze luminose dei paesi in cui era arrivata la corrente elettrica. Anche la casa di Antonio ne era provvista, ma ancora per mezzo di un generatore autonomo. Lasciando la cucina, solo mezz’ora prima, Antonio aveva trascurato la prima e principale dote dei contadini, la parsimonia. Ma giù in fondo, dove la valle diventava più larga e le pendici delle montagne si facevano da parte, i lampioni piantati all’ingresso dei paesi stavano saldi come sentinelle. Per tutta la durata della notte. Ed erano collegati a un motore molto più potente di quello che serviva la casa di Antonio.
Sul fondovalle, benché ora non potesse distinguerne i particolari, giacevano i campi coltivati, le grandi distese aperte, talvolta delimitate da recinti e strade sterrate. Sulle proprietà, suddivise in appezzamenti rettangolari o quadrati, sorgevano case coloniche, con annesse le rimesse per gli attrezzi e le abitazioni degli operai agricoli. Canali formavano reticoli d’acqua. Un crocefisso segnava il luogo in cui due sentieri si incrociavano, o il confine fra le diverse proprietà, o l'inizio di un centro abitato, il quale spiccava invariabilmente per la presenza della linea slanciata di un campanile.
Fra i contadini del fondovalle e quelli di montagna non c'era amicizia. Questi ultimi venivano accusati dai primi di essere gente rozza, selvatica. I montanari rispondevano con un misto di invidia e senso di superiorità. "In verità – diceva a volte il curato - quelli di pianura sono impressionati per come i montanari s’inerpicano su per le pendenze e scavalcano i burroni; come se non fossero degli ostacoli, ma luoghi sui quali spostarsi con naturalezza, e vivere e lavorare e metter su casa e fare figli, e sempre in pendenza, sempre facendosi beffe della gravità, delle valanghe, delle frane."
Ma adesso lo spirito di Antonio rimaneva incantato ad ammirare quella meravigliosa via lattea distesa sul fondovalle, e niente era più distante da lui delle rivalità che separano i valligiani dai montanari. Lo spirito si beava dell’aria tiepida della notte primaverile e la poiana lo rincorreva fin dove poteva. Sotto ad entrambi, dentro a case riparate da un tetto, gli uomini sognavano il lavoro del mattino dopo. E fra qualche ora si sarebbero svegliati tossendo, poi fatto colazione, calzati gli stivali e andati. Adesso sognavano, e le loro mogli gli sognavano accanto.
E da qualche parte, in mezzo ai rovi, giaceva il corpo di Antonio, precipitato da cavallo mentre il fungo di San Serapione cominciava a sciogliersi nello stomaco.
Lo spirito sentì la curiosità per il proprio corpo come una fitta. Non era proprio nostalgia; il corpo stava rovescio nel cuore del bosco, lo spirito invece volava alto sulle montagne, come avrebbe potuto rimpiangere la sua precedente condizione? Però bisognava cercarlo. Le bestie se ne sarebbero presto impossessate, e bisognava pur assistere all’intrusione delle formiche, che passano per il naso e arrivano dappertutto, lottando con altri intrusi che concimano la strada dove strisciano.
Sì, lo spirito si era destato alla curiosità. Si mise perciò alla ricerca del corpo di Antonio, ma incerto sulla direzione da prendere. Faticando ad orientarsi, a ritrovare il percorso fatto a cavallo dal momento in cui aveva lasciato la casa e fino alla caduta. La ricerca, comprese, sarebbe potuta durare a lungo. Aveva tempo a sufficienza? Domanda a cui non sapeva rispondere.
Pensò che se almeno avesse individuato il cavallo, forse in qualche modo sarebbe riuscito a convincerlo a ricondurlo sul luogo della caduta. Ma dove si era nascosto?
All’improvviso gli parve di udire delle voci note, giungere da poco lontano. Decise di andare a vedere che cosa succedeva.
Le voci adesso gli giungevano in tutta la loro violenza, attraverso gli insospettabili canali auditivi degli spiriti. Voci che risuonavano nel cortile della canonica, il prete svegliato poco prima di soprassalto dal corteo arrivato lì con torce e bastoni. Uno aveva parlato per tutti, e quando l’aveva fatto, gli altri rispettosamente avevano taciuto.
Aveva detto che il figlio di Vater Insel era scomparso. Che il padre l’aveva cercato tutto il pomeriggio, perlustrando palmo a palmo il terreno attorno alla loro casa. Che poi anche loro si erano uniti a Vater Insel nella ricerca, ma del bambino neanche una traccia.
Il prete stava sulla soglia ad ascoltare, con la tonaca in disordine e i capelli arruffati. Pensava: “Il figlio di Vater Insel ha tre anni, e questi boschi sono pericolosi. Lurido bastardo violatore di sorelle, sadico con gli animali, ubriacone, ah, sì, marcirai all’inferno prima o poi, ma adesso bisogna che faccia qualcosa perché i figli non sanno le colpe dei padri e non si meritano il castigo divino.”
Così disse: “Quattro di voi corrano alle case di quelli che non sono già qui, li sveglino e li conducano con sé. Gli altri si dividano in due gruppi, uno lo guiderò io, e l’altro lo guiderai tu Simone che hai parlato così chiaramente. Avanzeremo verso la casa di Vater Insel da due fronti, controllando metro per metro. Dio ci aiuterà.”
“Ma – considerava, tra sé – tutto ciò è insufficiente. Loro sono fuori da ore, e se solo adesso si sono decisi a venire a svegliarmi significa che si aspettano qualcosa di speciale. Qualcosa che giustifichi la tonaca che vesto e il segno di croce che ho loro insegnato. Lo so, lo sento che indugiano davanti alla mia porta e sembrano riluttanti a mettersi in marcia, perché vorrebbero che tracciassi i segni nell’aria e pronunciassi le formule. Forse credono che la magia di un curato sia più efficace della loro. Sicuramente non si vergognerebbero se io coniugassi, proprio qui, la croce e i tarocchi, il cenacolo e il pentagramma. O magari invece adesso lo sentono, che il mio Dio è più potente. Si domandano perché sia in collera con loro. Provano pudore a confessarmi i loro sentimenti. E io provo pudore ad interpellare il mio Dio perché sono settimane che non mi rivolgo a lui. Ma farò ciò che devo. Prenderò il crocefisso e li guiderò nel bosco. Perché io sorreggo un Dio crocefisso, e gli uomini nel dolore cercano un Dio che abbia compassione per loro, un Dio che domani, quando il dolore sarà passato, saranno loro a compatire, in questo modo sdebitandosi, ripagandolo con la stessa moneta. Ma io non piangerò con il mio Dio questa notte, oh, no, piuttosto batterò piuttosto soffocherò con le mie mani quell’uomo selvaggio se capiterà qualcosa di male a suo figlio.”
Così pensato tornò dentro. Quando fu da solo staccò dalla parete il crocefisso, poi fece un lungo sorso di vino dalla bottiglia che aveva aperto a mezzogiorno. Sentiva l’agitazione dei montanari di fuori crescere come un’onda. Adesso si consultavano. Simone stava impartendo degli ordini. Formava le due squadre, ed elencava ai quattro che restavano le famiglie a cui avrebbero dovuto far visita.
Solo uno aveva una torcia elettrica. Si stabilì che quello con la torcia avrebbe camminato davanti al prete, illuminandogli la strada.
Tutti sapevano della negligenza di Vater Insel, e dei maltrattamenti che la famiglia aveva patito per mano sua. Una volta Vater Insel aveva legato la moglie ad un castagno e l’aveva lasciata lì tutta la notte. Quando la notizia si era sparsa, e il prete gli aveva chiesto spiegazioni, si era giustificato dicendo che l’aveva sorpresa a bestemmiare. Ma il prete conosceva la moglie di Vater Insel, che era una donna semplice e si confessava ogni domenica. Da allora provava per lui un odio sordo. Odiava i modi servili che gli riservava quando faceva visita alla sua casa per benedirla. Avrebbe desiderato spaccarla, quella casa, come c’era scritto nell’Antico Testamento, “dalle fondamenta al tetto”. Però tutto questo odio era male agli occhi del Dio crocefisso.
Innanzitutto trovare il bambino. Ciò andava senz’altro fatto.
Uscì fuori con l’anima in fiamme. Nel cortile gli uomini in attesa avevano acceso altre torce, e le loro ombre andavano ad appiattirsi contro il muro della canonica. Facce tese si strinsero attorno al prete, e il crocefisso venne illuminato dai bagliori delle torce.
“Ho con me il crocefisso buono. Il metallo prezioso magnifica la gloria del Signore, stanotte. Questa mandria, questi uomini dall’animo così trasparente eppure così insondabile, sono il popolo di Dio. Bene, meglio che niente. Se Dio è morto per loro, doveva avere le sue buone ragioni. Troveremo il bambino prima che albeggi, e poi ringrazieremo il Signore e io dirò messa. La gloria del Signore si specchia sulle loro fronti, così come si specchia negli elementi primordiali, che il Signore ha creato, e poi dotato di regole e proporzioni, le quali tuttavia possono essere variate a piacimento, per suo semplice diletto. Per suo semplice diletto.”
Mormorando attraversava la piccola folla, che si apriva al suo passaggio, e confluiva poi alle sue spalle. Solo uno, più vecchio degli altri, si nascose nell’ombra. E non appena i suoi compagni si furono allontanati uscì dall’ombra e sgusciò dentro la casa.
E l’uomo con la torcia elettrica si mise davanti al prete per illuminargli il cammino.
L’erta del monte non era coltivata a frutteto, come invece le terrazze più basse e più vicine al fondovalle, dove predominavano vigne e meli. Qui erano fitti boschi di conifere.
Sui terrazzamenti, allo stesso modo che sulle cime delle montagne, la luce lunare si posava sulle cose, preservando le loro forme originarie.
Invece nel sottobosco le forme erano assai diverse rispetto a quelle che si sarebbero potute osservare in condizioni naturali. La luce delle fiaccole aggiungeva ombra a ombra. E il fascio di luce proiettato dall’uomo con la torcia sul tappeto di aghi di pino che si stendeva ai piedi del curato, quando illuminava una sporgenza o un anfratto, quando s’infilava nel folto di un roveto, o quando si imbatteva negli occhi terrorizzati di un piccolo predatore notturno, svelando, selezionando, conferendo nuovo senso, era come il Verbo divino quando decise di dare un nome agli animali.
"Sì - pensava il prete – come quando chiamò ‘leone’ il leone, o ‘fenice’ l'uccello che rinasceva dalla sua carcassa."
Dunque, il raggio di luce ribattezzava le cose. Ma era anch’esso un prodotto di Dio? Questo il dubbio che lo tormentava, sempre più spesso. E poi, la luce davvero portava con sé un ordine superiore, o non era piuttosto maestra nell’arte del camuffare, del travestire e del cambiare? Sì, forse il fascio di luce della torcia alimentata dalle pile alcaline non portava semplicemente un nuovo ordine nel mondo, forse creava un mondo nuovo: però vacuo, tremolante. Un mondo che durava un battere di ciglio, appena il tempo necessario per imprimersi nella retina di chi l’osservava. E se il mondo degli uomini fosse nient’altro che il prodotto di un raggio di luce proiettato su un angolo del cosmo, che splende un istante e poi ritorna al buio che gli è proprio? Ah, curato sapeva che questi pensieri l’avrebbero condotto lontano, assieme al vino che aveva bevuto prima di uscire e che ora gli batteva sulle tempie. Erano i pensieri delle tre del mattino, e lui non doveva prestare loro fede.
Nel frattempo, avevano imboccato una valletta, fiancheggiata da uno sperone di roccia. Procedevano in discesa, e in alcuni punti il sentiero diventava più ripido, costeggiando un burrone. Tra roccia e burrone gli uomini avanzavano stanchi. Alcuni avevano alle spalle molte ore di ricerche. Ma nei loro cuori stava emergendo pian piano la consapevolezza che questa volta, con il prete dalla loro parte, l’esito sarebbe stato diverso. Perciò non si incupirono, facendosi solo un po’ più prudenti.
Adesso la loro attenzione veniva attratta dalle luci dei paesi adagiati in fondo alla valle. Al prete sembrava di sentirle, le loro speranze. Si contorcevano come serpi, in quelle menti circospette. Perché gli uomini marciavano in silenzio alle sue spalle, ma era come se stessero ringhiando. Due desideri combattevano in loro: quello di rimanere com’erano, per sempre, e sempre, e sempre. E quello di strade sicure. Su per quelle strade sarebbero arrivati camion carichi di merci. Giù per quelle strade sarebbe scesi i loro figli, pronti ad andare a vivere nelle città e a mescolarsi agli altri uomini nelle piazze e nei porti della terra.
“Le donne - meditava il prete – furono pazze. Ma non lo furono da meno i soldati che le ricondussero con la forza alle loro case. Avremmo potuto imparare qualcosa, da quella storia. Che non si mantiene in vita un culto senza misteri. Ah, Dio, se riuscissi a distinguere, quando giro nella mia tenebra, come un cane alla catena, se i miei pensieri sono ispirati dal tuo volere o da quello di Satana. Ma non so più nulla, non distinguo nulla. Non capisco le forze al lavoro laggiù, ignoro cosa significhino le superfici di vetro dei palazzi che riflettono il sole al tramonto. E quando sento le mine esplodere, sotto alle nostre montagne, mi chiedo se sia un bene o un male. Signore, non sono che un tuo umile servo. Ho letto i libri ma forse non abbastanza. Ti prego, mostrami la via. Fa che io non conduca questi disgraziati in un precipizio. Signore, tu che li cogli, tutti i giorni. Signore tu che li cogli con il fulmine in mezzo al prato, con il fuoco nei loro fienili, con la malattia, la frana, l’alluvione. Oh Signore, Signore, tu che cogli, mostrami dove si nasconde il figlio di Vater Insel!”
Fu allora che, preso da un inspiegabile presentimento, come se qualcuno gli avesse sussurrato all’orecchio delle parole, l’uomo alla testa del gruppo puntò la torcia verso l’imboccatura di una grotta, che si apriva sul fianco della parete rocciosa.
Ci fu un mormorio, che divenne un’esclamazione collettiva quando il fascio luminoso si posò sul viso di un bambino. Era sporco di terra, adagiato su un guanciale di muschio. Gli occhi chiusi, il corpo raccolto per conservare un poco del calore del giorno.
Gli uomini presero ad inginocchiarsi, uno ad uno. Ma non chinarono il capo, troppo grande era il richiamo esercitato dal quel viso pallido, assorto nel sonno.
Solo il prete rimase in piedi, di fronte all’imboccatura della grotta.
Si guardò intorno. Era la prima volta che Dio si manifestava a lui con tanta evidenza.
Lì, in quel momento, c'era qualcosa. Lo percepiva chiaramente. Senza il suo aiuto non ce l’avrebbero mai fatta.
“Signore, mostrami il tuo volto ora – si sorprese a pregare, a voce sempre più alta, non riuscendo a trattenere le parole – oh, Dio, mostrami il tuo volto. Dio guardami! Dio parlami! Dio toccami! Dio guariscimi!”
E ad un certo punto, in alto, quasi fuori dal cerchio di luce, fra i rami degli alberi, gli parve di scorgere una forma vagamente familiare, solo che l’oscurità era troppo densa per poterla riconoscere. Una sagoma che svaniva, agitando la mano, con un’espressione di disfatta stupefazione sul suo viso. Dunque era fatto così, il volto di Dio? O era solo l’immagine che aveva scelto quella notte, per rivelarsi a lui?
Lo spirito svaniva, dietro i rami degli alberi. Non provava dolore, solo meraviglia per la progressiva perdita di consistenza. Per quel nulla travestito di nulla di cui cominciava ad indovinare l’intima essenza.
Lo spirito di Antonio svaniva, nell’aria fresca della notte.
Ma si sa, gli spiriti appartengono alla stessa sostanza impalpabile di cui son fatti i sogni.
(Marco Pontoni, 1987)
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