AUTONOMIE PER IL TIBET
Questo non è un articolo, è semplicemente un appello raccolto, un sasso scagliato nel mare. Riguarda una terra, il Tibet, con la quale sia Trentino che Alto Adige hanno stretto rapporti da anni, anche grazie a ben tre visite del Dalai Lama, fino a qualche tempo fa la massima autorità ad un tempo spirituale e politica del popolo tibetano (oggi solo spirituale).
Nel novembre, 2009, tra l'altro, nel corso dell'ultima venuta di Tenzin Gyatso, era stata varata una "Carta di Trento per il Tibet", un appello all'autonomia - non certo all'indipendenza - del Tibet, da far sottoscrivere alle diverse autonomie regionali del mondo, che riprendeva i contenuti del Memorandum a suo tempo proposto dal Dalai Lama al governo cinese per trovare una soluzione pacifica alla questione tibetana.
Non risulta che alcuna regione autonoma europea l'abbia sottoscritta, vuoi adducendo come motivazione una mancanza di competenze in politica estera, forse anche perché oggi nessuno vuole mettersi inutilmente in cattiva luce con seconda potenza economica mondiale (di fatto la prima, se non consideriamo solo il Pil). E la Cina, nella sua politica estera, anche ad esempio in contesti come quello dell'Africa, dove è sempre più attiva, solitamente non guarda tanto per il sottile e pone poche condizioni, ma una di queste è il non-riconoscimento dell'autorità del Dalai Lama (così come di Taiwan).
Cosa è successo, nel frattempo, dal 2009 ad oggi? Che sempre più monaci tibetani si stanno immolando, con il fuoco. L'ultimo risale, a quanto se ne sa, al 15 gennaio scorso. Questi gesti ne richiamano altri, quelli dei monaci vietnamiti che si bruciavano in piazza per protestare contro la guerra, negli anni '60. Verrebbe malinconicamente da aggiungere che forse la libertà di stampa e la diffusione delle informazioni erano maggiori allora, visto che quelle immagini che le ricordiamo tutti mentre quelle dei monaci tibetani non sono mai circolate. Così, come denuncia in questi giorni il sito "Global voices", ma come denunciava anche il dissidente cinese Harry Wu nella sua visita in regione dello scorso novembre, questa estrema forma di protesta contro la mancanza di libertà e l'oppressione avviene nell'indifferenza più generale, dentro e fuori la Cina. Indifferenza che accomuna sia i media tradizionali sia il web e i "netizen": sempre secondo "Global voices" solo un intellettuale cinese, Wang Lixiong, ha manifestato comprensione verso la lotta non violenta del popolo tibetano per vedere riconosciuta la propria dignità.
Ovviamente la versione del governo cinese - quando si occupa dei vari casi di immolazione, perché più spesso preferisce ignorarli - è come sempre che l'Occidente e il Dalai Lama istigano il popolo tibetano alla violenza e al fanatismo religioso. La cosa singolare è che, dopo tanti anni e nonostante l'incessante attività diplomatica del Dalai Lama nel mondo, gli stessi organi di informazione occidentali continuano a confondere, nei loro servizi sul Tibet, la richiesta di indipendenza con quella di un'ampia autonomia nell'ambito dello stato cinese. Ovviamente per chi vive in una delle autonomie più avanzate del mondo la differenza fra le due cose non ha nemmeno bisogno di essere spiegata; ma sappiamo quanto sia diffusa l'ignoranza sui queste questioni anche fra i professionisti dell'informazione, e quindi non ce ne stupiamo.
Che il Tibet sia oggi parte della Cina è un dato di fatto. Che la cultura tibetana sia cosa "altra" rispetto a quella cinese Han - pur avendo intrecciato con essa, nei secoli, molteplici legami e rapporti - è altrettanto incontestabile. Oggi questa cultura millenaria rischia di scomparire, sotto la pressione ad un tempo politica, demografica, economica della Cina, che come sempre, nella storia dell'imperialismo, da alle sue azioni il carattere della missione civilizzatrice.
La soluzione prospettata dalla Carta di Trento per il Tibet, che riprende come abbiamo detto, la posizione del Dalai Lama, è ovviamente una posizione mediana e di grande buon senso. "L’autonomia delle Province e Regioni che noi rappresentiamo - si legge - è la dimostrazione che i conflitti possono avere una soluzione non violenta rispettosa dei diritti di tutte le parti, che è possibile conservare le identità e le culture dei popoli anche se minoritari attraverso forme di autonomia e di autogoverno, che i diritti delle minoranze sono pienamente compatibili con la sovranità di uno Stato e con l’unità dello stesso."
Peccato che la ragionevolezza non contraddistingua il comportamento degli stati e dei governi, quando ritengono vi sia una minaccia all'integrità dei loro confini.
(pubblicato sul quotidiano "Trentino", 7.2.2012)
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