Quell'uomo. Eravamo andati a trovarlo, con i nostri zaini e i nostri sacchi a pelo. Era già anziano, per noi. Viveva in un altro paese, all'estremo Sud. Affacciato sull'Atlantico, una villa che gli aveva lasciato la sua ex-moglie, quella che aveva i mezzi, lui non aveva più niente.
Eravamo giovani e indifferenti a tutto, i miei compagni di viaggio più indifferenti di me. Al mattino, per svegliarci - eravamo stravolti da giorni di viaggio e di scarsa alimentazione, forse anche dalla convivenza forzata in ostelli e pensioni da due lire - tirò una fucilata in cortile. Stava con una ragazza molto più giovane. Beveva molto, gli regalammo una bottiglia di whisky, tutto ciò che potevamo permetterci. Al mattino dopo, era già finita.
Beveva anche lei, ci portò in discoteca, lui rimase alla villa, era molto paterno, ci raccomandò di stare attenti. Guidava come una pazza sulle strade buie di un paese soleggiato, pieno di stelle, dimenticato dall'Europa, afflitto fino a pochi anni prima da una dittatura. Al ritorno guidò la sua amica. Lei prese sonno sulla mia spalla, non si svegliava più. Lui se la prese in braccio e la mise a letto.
Ci portarono all'estremo limite, una scogliera a picco. Più in là non c'era più niente, solo acqua e Africa. Lungo la strada, ci fermammo a mangiare le sardine, sotto alla tettoia di un baracchino. Barche arrivavano al molo, a portare il pesce fresco. Tutto stava davanti a me, disteso come una coperta, tutte le possibilità inespresse, tutte le scelte possibili, avevamo appena terminato il liceo. Cercavo di fare lo spiritoso, perché i silenzi mi procurano imbarazzo, cercavo di parlare anche per i miei compagni di viaggio. Dicevo cazzate, la timidezza. O pensavo al sesso.
Di fronte il monte degli olivi. Non ci sono più tornato. Quell'inverno, rientrò in Italia, la sera, di solito il venerdì, quando arrivavo da Bologna, col treno, prima di andare a casa mia, dai miei genitori, a volte mi fermavo a cena da lui. Ci sono andato anche quella volta della tremenda nevicata che schiantò gli alberi e mise a dura prova le auto. Non volevo perdermi nulla. Il suo amico, altro pittore, tifava per l'Albania. "Un paese poverissimo, e allora?"
Come si può essere ciechi. Poi litigammo, avevo l'arroganza dei vent'anni. Pensavo si potesse cambiare il mondo, non che fosse il mondo a cambiarti e cambiare, anche senza il tuo aiuto. Era un anarchico. Non tolleravo il suo cinismo.
Alla partenza ci consigliò cosa fare una volta arrivati a Lisbona. Solo poche ore, prima di metterci in viaggio per Parigi. Di quella fermata ricordo una piazza, enorme. Inerpicarci su per le stradine dell'Alfama. L'odore del Tago. Lisboa.
Quasi alla fine, si cercò un'ultima possibilità. Scrisse una lettera ad una ragazza che aveva conosciuto anni prima, una della mia età, una nostra compagna di scuola. La invitò da lui, con la scusa di un piccolo restauro. Non ci si arrende mai, sempre si pensa che possa ricominciare, che ci sia ancora qualcosa, da vedere, da provare. Non ci si rassegna mai alla vita così com'è, con le sue noie. Me l'immagino, in un cortile pieno di vento, gli amici andati. Aveva i soldi che gli mandava la moglie, un artista. Ancora quella fiamma, quelle braci.
Avevo pensato a lui tre giorni prima del telegramma, dopo anni. La mia vita ormai trasformata, completamente. L'ultima volta che avevo suonato al campanello dell'appartamento che occupava d'inverno, nella nostra città, per qualche mese, prima di ripartire, non aveva aperto.
Non ho una foto di quell'estate. Il digitale, sarebbe arrivato poi, insieme a tutte le altre stronzate.
Non cambia mai. Una volta ho bevuto un'intera bottiglia di vino bianco frizzante, da solo. Mi sono addormentato due volte. Poi, quando mi sono svegliato del tutto, sono andato in palestra.
Ci devono essere modi più intelligenti di rischiare.
(Da La calda notte degli avatar)
Nessun commento:
Posta un commento