La carta e il territorio
Sono un estimatore di Michel Houellebecq e sono andato subito a leggermi il suo ultimo romanzo, interessante fin dal titolo, "La carta e il territorio".
La carta, anzi le carte, sono quelle della Michelin, che proiettano un giovane artista, Jed Martin, nell'olimpo della celebrità. Il romanzo ruota attorno a questo personaggio - tipico, solitario anti-eroe houellebecqiano - seguito, com'è costume dello scrittore francese, praticamente dalla nascita alla morte, forse perché, è cosa nota, non si può dire di nessuno che abbia avuto una vita fortunata fin quando non è spirato.
Il contraltare di Jed Martin non è rappresentato tanto dalla sua amante - bellissima manager russa in carriera che ad un certo punto lo molla perchè il lavoro la richiama in patria (l'amore, per Houellebecq, è sempre scacco e sconfitta, in questo caso una resa senza condizioni alle logiche dell'economia globalizzata) - ma dallo stesso scrittore, ovvero Houellebecq, del quale Jed Martin decide di realizzare un ritratto. Nella parte finale del romanzo Houellebecq viene ritrovato morto - diciamo di più, ucciso in maniera raccapricciante, fatto a striscioline con un attrezzo cururgico e sparso sul pavimento di casa a comporre una sorta di quadro a la' Pollock - il che innesca una digressione "gialla" fino alla scoperta dell'assassino (che non è un estremista islamico, come forse qualcuno si aspetterebbe visti i trascorsi dello scrittore...).
L'epilogo è affidato nuovamente a Jed Martin, che del tutto disilluso sulle possibilità offerte dai rapporti umani in genere, e parimenti del tutto disinteressato agli effetti del successo, si lascia invecchiare in una sorta di splendido isolamento, lasciando dietro di sé, alla sua morte, un'ultima opera, dedicata alla natura che circonda la sua abitazione. C'è spazio anche per un ultimo sguardo gettato dall'artista, ormai molto anziano, sui cambiamenti intervenuti nel frattempo nella società: forse non l'apocalisse che si aspettava, invece un lento slittamento, la colonizzazione delle campagne da parte di persone che di radici piantate nella terra non ne hanno, giovani new age, turisti "verdi" ecc.
C'è chi ha trovato questo romanzo (premio Goncourt in Francia) più debole dei precedenti (perlomeno di alcuni di essi), meno riuscito anche sul piano formale. Personalmente mi semba un'opera felice, che presenta elementi di continuità con il passato ma anche alcune discontinuità. Manca ad esempio la particolarissima "fantascienza" che caratterizzava "Le particelle elementari" e anche l'ultimo "La possibilità di un'isola". Manca il sesso, che condiva abbondantemente le opere del passato, sia come elemento salvifico o perlomeno consolatorio (minato dall'incedere delle età e dunque caduco), sia come metafora dell'incomunicabilità (anche generazionale).
C'è, invece, di nuovo il rapporto padre-figlio, sempre straziante; c'è la vecchiaia in quanto anti-vita, posto che la vita, nel mondo moderno, è tutt'uno con giovinezza, salute, corpo, disponibilità, ambizione, fun (o con le loro rappresentazioni). C'è l'eutanasia, nulla di romantico, nulla a che vedere con un diritto faticosamente conquistato: una pratica discreta, asettica, anch'essa asservita alle logiche del mercato. Ci sono i marchi, i brand. Ci sono, come sempre, interessanti digressioni cultural-filosofiche, qui legate al mondo dell'arte, soprattutto; evidentemente l'autore francese se le può permettere (come se le poteva permettere Kundera), dal momento che i suoi libri comunque vendono e quindi lettori ne hanno. Per fortuna.
Torno su una delle peculiarità dei romanzi di Houellebecq: seguire i personaggi durante tutto l'arco della loro vita. Nel suo penultimo lavoro il protagonista (in realtà un clone) esce dallo spazio chiuso e protetto nel quale alcuni eletti, in un ipotetico futuro, vivono, in assoluta solitudine (anche sessuale), per addentrarsi in un mondo popolato di bruti e arso dagli effetti dei cambiamenti climatici. L'epilogo non era consolatorio: arrivato sulla riva di un mare semiprosciugato, il viandante non trovava nulla, nessuna risposta, nessuna compagnia. Avrebbe probabilmente atteso di disseccarsi lì, sul bagnasciuga chimico.
In questo "La carta e il territorio" la fine è più interlocutoria: la solitudine dell'uomo è sempre dominante, l'impossibilità dell'amore una certezza, il disincanto con cui i diversi personaggi vengono, ognuno a suo modo, a patti, indiscutibile; ma ci rimangono i video girati da Jed Martin, per anni, meticolosamente, nei boschi all'interno della sua tenuta. Il trionfo di un vegetale comunque estraneo alla vita così come noi la conosciamo ma che in qualche modo, testardamente, è (e ricordiamoci che Houellebecq è un estimatore di Lovecraft, altro sguardo lanciato su un universo parallelo caotico ed estraneo).
Ed ecco l'incipit:
“Da qualche settimana si era messo a parlare alla sua caldaia. E la cosa più inquietante – ne aveva preso coscienza due giorni prima – era che adesso si aspettava che la caldaia gli rispondesse. L’apparecchio produceva è vero rumori sempre più vari: gemiti, ronzii, schiocchi, sibili di tonalità e di volume differenti; ci si poteva aspettare che un giorno o l’altro arrivasse al linguaggio articolato. Era, insomma, la sua più vecchia compagna.”
Non sono affatto ironico quando scrivo “Qualche volta aveva l’ipermercato tutto per sé – e gli pareva fosse un’approssimazione abbastanza buona della felicità”. In senso letterale deve essere intesa questa frase. Il luogo del consumo è ambiguo come ogni residuo mitologico. E’ la favola che l’umano continua a desiderare: quella che fa paura, dove c’è il lupo.
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