- Sai come si chiama, no?
Ho detto: no
- Si chiama il freddo delle pecore. Perché in questa stagione ormai le pecore le hanno già tosate, poi all'improvviso torna il freddo e loro hanno freddo, poverelle, tremano vicine vicine...
Aveva fatto il gesto, nel parlare, di stringersi i gomiti ai fianchi, serrando i pugni. Sembrava una bambina.
Mi sono sdraiata di pancia sulla panca del legs curl. Ho agganciato l'attrezzo con i talloni, stringendo contemporaneamente i manubri. Poi l'ho tirato su. Guardavo i pesi andare e venire davanti al mio naso, una volta due volte, tre volte...
La regolarità dell'esercizio è tutto, la regolarità della respirazione, la ripetizione dei movimenti, ho pensato che tutte le cose piacevoli devono essere così, ripetibili, devono avere un ritmo regolare.
Alla quindicesima ho smesso, è l'esercizio più faticoso, veramente. Ancora una serie, poi mi sarei data ai glutei e infine agli addominali.
Mara tornò con una bottiglietta d'acqua in mano. Sì, sembrava proprio una bambina, o meglio, una ragazzina, aveva 33 anni e un fisico da 19, magro, minuto. Dietro di lei è comparso anche Ares. Come istruttore è svogliato; strano, per essere così giovane, sta quasi sempre di là al bancone, a sfogliare giornali e a guardare il pc, finge di preparare nuove tabelle, secondo me finge, ma quando c'è Mara...
Quando c'è Mara, quando c'è Mara. Quando c'è Mara, quando c'è Mara.
Uscite c'era ancora il vento, freddo, teso. Il temporale era venuto avanti lento, trascinandosi per tutto il pomeriggio, con impercettibili cambiamenti nella luce diffusa del cielo, dall’azzurro camicia al livido biancore, con scuraglie improvvise dietro alle montagne. E adesso tutta quella elettricità e tensioni stava per trovare sfogo, ma non ancora, ho pensato che avrei fatto in tempo ad accompagnarla a casa e forse anche ad arrivare fino a casa mia, prima che piovesse. Che poi forse non avrebbe piovuto affatto.
Ho premuto il tasto sulla chiave. Le porte dell’auto si sono aperte con un rumore caratteristico e il lampeggiare di spie luminose. Mi sono riempita bocca e polmoni di aria umida prima di salire.
All’improvviso, mi sono resa conto che ero stata molto felice, qualche minuto prima. Per due o tre secondi. La felicità mi aveva attraversato dopo l'ultimo esercizio, aveva guizzato fra i muscoli doloranti e le molle della macchina. Felicità per niente, per la doccia che stavamo per fare, perché era venerdì. L’attimo della chiara consapevolezza di essere solo una persona, di appartenere solo a me stessa, di avere, in fin dei conti, il pieno possesso, la piena sovranità su me stessa. Di non appartenere a lei o a lui o ai ragazzi, alle paure che accompagnano ogni momento della mia esistenza, agli obblighi lavorativi e familiari, all’incalzare del tempo, alle infinite indecisioni.
Durava solo qualche secondo, certo, è comprensibile, lo capisco bene, io, capisco bene tutto, non come Mara, che non ha responsabilità su niente e nessuno. Però, se potesse durare di più. Se solo ci fosse il modo di conciliare tutte le cose, tutti gli amori, tutti i desideri che desideriamo e le persone che vorremmo fossero sempre con noi, al punto che vorremmo tenerle in un taschino, il nostro taschino segreto.
Ho fatto una cosa che non faccio mai in pubblico, ho abbracciato Mara, ho sentito il calore del suo corpo e il profumo del sapone sul suo collo. Lei mi ha accarezzato i capelli. Ci siamo baciate. Mi veniva la pelle d'oca.
Poi ho guidato piano fino a casa sua. E quindi ho guidato piano fino a casa mia, in tempo per preparare la cena a mio marito e ai miei figli.
Da La calda notte degli avatar, romanzo di racconti brevi in cerca di editore (lo so, non ci crede nessuno, ma quando ho scelto il titolo DAVVERO ignoravo che si stesse preparando un film intitolato Avatar)
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