Mi sono sempre sentito dalla parte dei giovani, pur credendo poco a queste categorie basate sui fattori generazionali (quando si finisce di essere giovani? Quand'è che termina l'età della "formazione"? Quand'è che si è definitivamente adulti, cioé maturi? E la maturità ha davvero a che fare con l'età, qualsiasi cosa essa sia? Ne parlo anche nel mio "Music box", usando la musica come medium).
Sul piano psicologico, forse non ho mai superato completamente la stagione dell'università, anche se ho iniziato a lavorare, ho fatto carriera, ho avuto dei figli, ho acceso un mutuo... Sul piano fisico...beh, sto dalla parte dei giovani forse perché i mei anni li porto bene (credo...), o almeno mi sento bene.
Poi ieri sera ho visto un film nel quale un dirigente di 51 anni viene all'improvviso scalzato da un 26enne. Prima reazione: vabbé, è un film americano, in Italia non succederebbe mai, in Italia domina la gerontocrazia.
Seconda reazione: sì, ma se succedesse anche qui? Mio padre per lo meno a 50 anni è andato in pensione, per lui non si è posto il problema di convivere a lungo - nel posto di lavoro - con persone giovani, più fresche, più aggiornate, più motivate. Ma per la mia generazione, condannata a lavorare almeno fino a 65 anni, la cosa è un po' diversa.
Così in astratto, direi che la differenza giovani-adulti, persino giovani-vecchi non esiste. Esistono differenze residuali create dal mercato (il giovane E' un'invenzione del mercato, data gli anni 50' del XX secolo, la sua patria sono gli Usa, il giovane come categoria, target, età sospesa, nasce con James Dean e Elvis Presley, prima si era ragazzi fino al militare e subito dopo adulti, pronti per il matrimonio e la fabbrica). Sul piano dei comportamenti oggi ci sono 50enni/60enni indistinguibili o quasi dai loro figli, e a me non pare una cosa tremenda. Così in astratto, il conflitto generazionale, quello che impazzava nel '68, quello che spingeva tanti ragazzi a sognare di "scappare di casa", non ha più ragione di esistere (prova ne è che tanti "giovani" stanno in famiglia fino a 30 e più anni senza grossi problemi).
Però, chi dice che il mercato del lavoro, la crisi irreversibile del sistema pensionistico ecc. non finiranno con il farlo riesplodere, questo conflitto, in altre forme? Ovvero non per le questioni morali/estetiche/culturali del passato (quanto star fuori la sera, la verginità, i capelli lunghi, la musica, le canne ecc.) ma per le concretissime questioni poste dall'economia?
Il film di ieri si concludeva in maniera consolatoria per i "vecchi": il dirigente (che ha appena avuto una nuova figlia, e deve anche mandare la prima in una costosa università, e questo è esemplificativo: a 50 anni ci si arrabatta ancora con pannolini e orari che impazziscono) viene reintegrato nel suo ruolo, mentre il giovane rampante, licenziato di brutto, va a correre sulla spiaggia ponendosi i soliti quesiti esistenziali (chi sono? cosa voglio nella vita?).
La realtà forse è un po' diversa: è la realtà di tante persone che a un certo punto della loro vita sono stufe di lavorare (anche perchè vengono progressivamente messe ai margini dell'organizzazione aziendale, non tutti sono professori universitari o manager alla Vincenzo Cipolletta) ma devono continuare a scaldare la sedia perché l'età della pensione si è inesorabilmente allontanata. Tutto questo mentre premono alle porte giovani reduci da master e altre esperienze amene in giro per il mondo, costretti ad adattarsi a lavori precari o sottopagati e a volte neanche tanto eccitanti.
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