Piergiorgio Odifreddi, ieri a Trento per l'apertura del Filmfestival della montagna.
Brillante, divertente nell'incontro organizzato nel pomeriggio dai laici del Trentino (la laicità, qui, non è mica uno scherzo).
Odifreddi ha sostenuto che la fase religiosa è una fase tutto sommato infantile; il bambino cerca una spiegazione ai grandi dilemmi esistenziali (chi siamo, chi ha creato il mondo ecc.) e la trova nella religione, nel grande disegno divino, nel dio-padre ecc.
A questa seguirebbe una fase adolescenziale, romantica, in cui magari i dogmi della religione non bastano più e il loro posto viene preso dai grandi tormenti e dalle macerazioni esistenziali sul "senso della vita", nonché dalla lettura di Sartre e Dostoevskij.
Ma infine arriva o dovrebbe arrivare una fase adulta, in cui l'uomo si accontenta delle spiegazioni razionali che riesce a darsi (attraverso la scienza), e smette di arrovellarsi sulle domande a cui non riesce a dare risposta.
Personalmente mi sono sentito un pio' chiamato in causa perché io sono precisamente uno di quelli che hanno letto La nausea a 13 anni, solo che non credo di avere mai capito esattamente in cosa consista la "maturità".
Con la ragione si potrebbe anche essere d'accordo con Odifreddi. In effetti il suo ragionamento è abbastanza in linea con l'agnosticismo di Protagora, che riguardo agli dei dichiarava prudentemente: meglio non pronunciarsi. Il punto è che il modello di persona matura o adulta che un certo tipo di razionalisti sembrano avere in mente non è poi così attraente. Voglio dire: quando smetti di interrogarti sulle grandi questioni (e di leggere la grande letteratura) cosa resta? Odifreddi ha la matematica, è un intellettuale. Ma le persone comuni? La nuova macchina, l'i-pod, una bella mangiata, le barzellette, le puttane? E' davvero tutto qui? (ovviamente lo so benissimo che non è tutto qui per Odifreddi e tanti altri, ma il ragionamento va un po' estremizzato...)
E l'arte, ad esempio? E l'etica? E l'estetica? Non sono tutte cose prodotte - almeno in buona parte - dalle "grandi domande"? Non appartengono forse all'età lirica, quella dell'immaturità (per citare Kundera)? Persino il disincanto degli esistenzialisti è "lirico", non ha molto a che vedere con quel - ragionevole - accontentarsi delle risposte che riusciamo a darci di cui parla Odifreddi.
Anche senza credere in un dio creatore o in un dio che muore e risorge o in un giudizio universale o in una vita dopo la morte si può avere non solo un'intensa vita interiore, che non si accontenta dello scorrere lieve della vita, ma persino un'inclinazione al "mistero". Se l'ateismo si limita alla scienza è troppo poco, non fosse altro perché il linguaggio della scienza è estremanente complicato e specialistico. Certo, l'ironia è un'altra preziosa alleata. Ma è sempre poco. E' vero, la chiesa si serve di una simbologia elaborata, di riti suggestivi che possono sembrare assolutamente irragionevoli e persino "pagani" (infatti nel caso delle religioni monoteistiche sono quasi sempre la rielaborazione di qualcosa di preesistente). Ma l'uomo ha bisogno di miti e riti, perché sono questi (perlomeno anche questi) gli strumenti di cui dispone per dare un senso al mondo, per leggerlo, per interpretarlo, per narrarlo. Sartre, Warhol, Jim Morrison (per non dire delle ideologie, della politica) questo tipo di bisogni incarnano (o hanno incarnato). Freud o Darwin non sarebbero bastati.
Poi ogni epoca ha i miti e i riti che si merita. Se i miti e i riti "laici" oggi sono il Suv, il chirurgo plastico, il Grande Fratello o i Family days vuol dire che viviamo tempi molto degradati e in questo degrado ci siamo detro tutti, credenti e non credenti. Curioso infatti che Odifreddi incolpi la televisione di dare man forte alla religione, mentre i credenti fanno un ragionamento uguale e contrario, incolpando la televisione di propugnare una società completamente secolarizzata e appiattita sui peggiori disvalori (individualismo, primato dell'apparire sull'essere ecc.)
In una intervista a un quotidiano locale Odifreddi ha poi ripreso un suo vecchio cavallo di battaglia, dicendo che la democrazia rappresentativa è un sistema di governo superato e molto imperfetto, specie per gestire cose complesse come le guerre o le grandi crisi economiche. Questo perché - spiega il matematico, chiedendo aiuto a Darwin - il meccanismo della selezione, che porta alcuni politici ad essere eletti, non premia necessariamente i migliori, anzi, a volte i peggiori.
E fin qui, di nuovo, non ci piove. Il dubbio è semmai che la soluzione di cui parla Odifreddi sia la più efficace. Che sarebbe "dar voce alla gente", o qualcosa del genere. Non sarebbe più onesto essere sinceramente elitari, a questo punto? Lo sosteneva ieri Ludik riguardo a X Factor: perché lasciare che sia il televoto a decidere? In fondo la gente è la stessa che elegge il politico di turno per i suoi soldi o per i sogni falsi che smercia, che ascolta musica terribile, che si droga di tecnologia da mane a sera...
Qui però casca l'asino, perché tutti noi amiamo la libertà e non vorremmo, al posto della democrazia, un governo aristocratico. E comunque, di quale aristocrazia parleremmo? Quella degli spiriti eletti, dei migliori, o quella dei più ricchi? (in questo caso saremmo sempre lì, a Berlusconi) Quella dei più laici o quella degli unti dal signore?
La possiamo girare come vogliamo ma il motto: "La democrazia è il peggior sistema di governo, a parte tutti gli altri" rimane insuperabile.
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